mercoledì 23 marzo 2011

LA COSA NELL'ARMADIO

Stava sdraiato sul suo lettino, con lo sguardo fisso sull’armadio di fronte a lui e quello sguardo era ricco di terrore ed era acceso di una luce strana che solo l’orrore notturno sarebbe in grado di accendere.
Spostò le coperte sistemandosele sul petto, mentre gli occhi rimanevano fissi sull’anta abboccata dell’armadio. 



Si muoveva lentamente, protetto a suo modo dalle coperte eppure tremante.
La poca luce che entrava nella stanza era quella che filtrava dalle persiane della grande finestra posta sulla parete destra della stanza e l’unico barlume di speranza, l’unico appiglio per quel bambino per non cedere alla follia era proprio quella debole luce pallida.
Aveva bisogno di distogliere lo sguardo dal suo incubo ma sapeva che se avesse smesso di guardarla quella cosa si sarebbe nascosta e nell’oscurità lo avrebbe assalito e dilaniato nel silenzio della notte.
Doveva continuare a trattenere il respiro e a guardare negli occhi quell’essere mostruoso che si nascondeva nel suo armadio, in agguato.
Il mostro era raggomitolato, con le ginocchia piegate e le braccia ad avvolgerle, i lunghi capelli fini e radi che le sfioravano il viso vecchio,malato e segnato di mille ferite.
Gli occhi incavati di quella creatura senza nome lo guardavano, privi di emozioni e, a causa della scarsa luce, privi di colore.
Non erano occhi ostili o arrabbiati. Erano soltanto malvagi, intrisi di un sorriso perverso e di un’intelligenza che si perdeva nei secoli.
Matteo, il piccolo Matteo, tremava di paura e continuava a fissare il demonio femmina che lo spiava silenziosa.
E più la guardava più era schifato ed inorridito dalle sue braccia magre e dalle ossa delle ginocchia che spuntavano dalla pelle rinsecchita.
E se proprio non avesse avuto modo di liberarsi di quello sguardo orribile di cui si sentiva prigioniero,avrebbe almeno voluto vedere la bocca del mostro che gli stava dinanzi: le fauci del mostro non erano enormi ed insanguinate e non erano ricche di denti come quelle di uno squalo. L’orrore vero stava nell’incapacità di vedere la bocca sfocata di quella creatura scheletrica. Poteva essere ornata da un ghigno orribile o da un’esplosione di rabbia, ma alla sola vista non era altro che un’immagine sfocata e senza senso.
Matteo cercò di immaginare il lezzo terribile che la cosa doveva emanare da vicino e perso tra quei pensieri di indicibile orrore gli sembrò che la luce calasse ulteriormente nella stanza. Si sentì improvvisamente piccolo e privo di difea e per un istante, solo un per un secondo, chiuse gli occhi, sopraffatto dalla paura.
Li riaprì a stento, terrorizzato.
Guardò nell’armadio e tra i jeans e le felpe che indossava ogni giorno non c’era più nessun mostro.
Mentre cercava disperato con lo sguardo la figura ammantata di terrore, un ‘ombra scivolò sulla parete di fronte alla finestra e Matteo si voltò di scatto, certo della causa di quell’ombra sfuggevole. Ma non c’era nulla, se non il buio e le strisce di luce che entravano dalle persiane.
Gli sembrò allora di sentire il puzzo tremendo del mostro e nello stesso istante sentì qualcosa tirargli le coperte dal fondo del letto. Abbassò lo sguardo in preda al panico, tremando come una foglia e pronto a schizzare, scattante come una molla.
Qualcosa di pesante si poggiò sui suoi piedi protetti dalle coperte ed iniziò la sua risalita lenta del giaciglio.
Le mani magre e bianchicce del demone stavano scalando la sua roccaforte e allo stesso tempo stavano artigliandone le coperte per poterlo dilaniare e mangiare e divertirsi con le sue carni morte. E allora anche lui sarebbe diventato parte di quella materia sfocata che aveva per bocca il suo carnefice.


Sentì il suo respiro affannoso e maledetto e non fu più capace di restare sdraiato.
Si alzò e aprendo la porta, a testa bassa, corse verso la camera dei suoi genitori e ci entrò in lacrime.
Svegliò sua madre e suo padre e senza dire una parola si infilò tra di loro nel caldo e sicuro letto matrimoniale.


Sentì il suo respiro affannoso e maledetto e chiuse gli occhi temendo di non poterli più riaprire.
Quando sentì sul suo viso l’alito caldo del mostro non fu in grado neanche di urlare ed una lacrima calda gli solcò il viso.
Sentila sua lingua ruvida accarezzargli la guancia e il pelo solleticargli le labbra.
Quindi, come da prassi Leo iniziò a fare le fusa.

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