giovedì 23 febbraio 2012

un raccontino di una raccolta


Sorrise e quindi iniziò a ridere senza controllo, con la bocca spalancata, nessuna voglia di trattenere il rumore.
La televisione parlava da sola, urlava da sola, di niente, nel caos organizzato di quella sala insanguinata dagli anni.
Lui stava alla finestra e rideva, senza tregua, contro la città che lo circondava. Rideva in una notte troppo illuminata.
Rideva di tutto quello che non aveva mai fatto, della sua vita andata a male, dei tanti sogni che aveva distrutto, i troppi pezzi mancanti del puzzle.

Eppure c’era stato un momento in cui aveva creduto a qualcosa, forse aveva anche messo assieme dei pezzi, e quello era il suo rimpianto più grande.
Rideva perché nonostante tutto si sentiva un Dio, e magari cercare di costruire qualcosa era soltanto per gli uomini.
Rideva per la disperazione e rideva presuntuoso, e di sicuro rideva perché era certo che ridendo le cose non potessero che migliorare.
E mentre rideva, in un lampo di lucidità, tanto chiaro quanto fugace ed effimero, capì di essere folle, e si ritrovò a ridere della propria follia.
Rideva mentre niente altro rideva intorno a lui. Davvero era folle.

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