domenica 27 marzo 2011

C'era soltanto da aspettare il treno


C’era soltanto da aspettare il treno.
La stazione affollata, la ricerca spasmodica del binario e gli incontri, gli scontri, la fretta.
Il suo treno sarebbe potuto essere il prossimo e sentiva dentro di sè la sensazione terribile di una claustrofobia insopportabile. Ancora non si sentiva lo stridere della rotaia eppure i brividi che provava al solo pensiero lo costringeva a digrignare i denti, a costringersi a pensare ad altro, perchè altrimenti gli sarebbe stato impossibile il cammino, gli incontri e gli scontri.
Si costringeva a non pensare alla Signora in ogni attimo della sua vita, perchè non gli condizionasse l’esistenza tanto da renderla sterile, per quanto sterile lo fosse effettivamente. Immaginava di vagare con gli occhi vacui tra una moltitudine di non-morti. L’uomo ha bisogno di credersi immortale.
L’uomo ha bisogno di essere tanto presuntuoso da sperare che tutto andrà a finire bene, quando il destino può essere solo l’improvvisa fine di tutto, e certo non è detto che questo sia male.
Le canzoni, le emozioni, le luci e i colori sarebbero svaniti d’improvviso. 
Delle folle interminabili di persone apparse e scomparse non sarebbero rimasti ricordi.
Ogni muro sarà ripitturato, ogni palazzo crollerà, qualsiasi città verrà consumata dal fuoco del tempo. Qualsiasi impero è soltanto destinato a finire.

Stava camminando sulle rotaie perchè non aveva un’altra strada, perchè un’altra strada non sarebbe mai potuta esistere, e allora si trattava soltanto di aspettare la luce del treno. Quel rumore insistente del treno che arriva.
Si tratta di consumarsi prima che il male ci consumi?
E la Signora non lo aveva neanche sfiorato: si era soltanto palesata, aveva solo lasciato che la sua voce gelida echeggiasse intorno a lui. 
Terribile Signora priva di ipocrita pietà. Padrona di tutto e amante della follia mentale di ciascuno. 
Ls Signora dimenticata, perchè ricordarla significherebbe darle ragione. E la ragione non potrebbe che essere dalla sua.
Non poteva fare altro che camminare, anche ora che il pensiero del treno lo tormentava, anche quando avesse perso l’ennesima battaglia contro il tempo, anche lasciando per strada i suoi fratelli, quando anche l’amore che credeva eterno fosse finito, il suo unico destino sarebbe stato continuare a camminare su quei binari che tanto conosceva quanto gli sembravano oscuri e impervi. E già sapeva che quella marcia non sarebbe durata troppo. Già si sentiva ammaliato da quella forza trainante che forma e cancella, già la sua mente non poteva concepire altro, già il virus dell’ossessione lo aveva privato della voglia di camminare lungo la strada già segnata da mille cadaveri che non poteva vedere e da mille altri che avrebbe presto seppellito.
Ma avrebbe dimenticato l’eco spettrale, avrebbe chiuso gli occhi su quelle rotaie e la sua marcia sarebbe continuata. 
Una marcia inesorabile verso l’inesorabile. Qualsiasi sia il senso di tutto.
Se un senso dovesse mai essere esistito. O forse l’unico senso era quello di aspettare il treno, tra le urla, i pianti, le risate, gli scontri e gli incontri.
C’era soltanto da aspettare il treno.

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