sabato 26 marzo 2011

Zoppo

E un corvo si poggiò, insolente e nero come il manto trionfante della Signora, sul ramo secco di quell’albero secolare che si stagliava di fronte a me.
Il freddo si conficcava nelle mie carni come enormi pungiglioni di mostruose api, mentre l’ululato beffardo del vento mi costringeva a chiudere gli occhi e a ripararmi il viso dai detriti che alzava.
Di fronte alla natura e alla sua spietata Regina mi sentii allo stesso modo di come si deve sentire una formica su un ciocco di legno infuocato, disperata e alla ricerca di una scappatoia inesistente o irraggiungibile. E lentamente le zampette di quella formica sarebbero bruciate e zoppa, avrebbe continuato la sua folle corsa cadendo e rialzandosi e sarebbe arsa viva, fino a che non avesse avuto più la coscienza per fuggire.
Nella mia mente danzavano tremende premonizioni di orrore e barcollando mi avvicinai al baratro senza fondo che mi chiamava ed azzerava la mia debole volontà.
Senza rendermene conto la mia camminata si era fatta zoppa ed imprevedibile, e cominciai a distinguere le orrende voci che mi plagiavano e mi chiedevano di raggiungerle. Come la formica avanzavo senza speranza di salvezza.

Non era notte e non c’era temporale, e capii, una volta giunto alla fine delle mie ore, che non c’era un dove o un quando per l’orrore o per la distruzione.
Le quattro del pomeriggio non sono diverse dalle quattro di notte per la grande Signora e la disperazione che ci prende nelle notti buie e senza suoni rimane dentro di noi anche sotto il sole splendente del mezzodì, celata da un velo trasparente di speranza e dai profumi illusori dei fiori e delle fabbriche fumanti.
E quando cammineremo da soli, in pieno giorno come a notte fonda, sempre ci volteremo a guardarci le spalle, per controllare che niente ci stia seguendo, e nella nostra mente riecheggerà tremenda la sensazione di zoppicare verso l’abisso, e claudicanti andare a morire in un ultimo urlo di paura.
E il giorno non era mai stato tanto luminoso in una giornata autunnale.
E la Signora mi avvolse nel suo manto e mi falciò la testa mentre ancora cadevo nell’infinito e l’ultima cosa a cui pensai fu la mia zoppia.

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