Odeta...

Odeta è sempre stata una ragazza allegra, evidentemente felice di vivere e perfettamente in grado di procedere nel cammino della vita con l'incedere di una bambina che saltelli nei campi in fiore in primavera.
Questo almeno è ciò che è sempre apparso in superfice, in realtà stiamo parlando di una ragazza dotata di una fredda mente calcolatrice. Nel 2003, seguendo questa sua attitudine, si iscrisse alla facoltà di fisica della Sapienza e, pertanto, accettò di buon grado di porre su di se il marchio dell'infamia, un'infamia che, poco a poco, macchia l'anima di ogni fisico, di qualunque specializzazione. L'anima degli appartenenti a questa categoria, infatti, il giorno dell'iscrizione viene posta in una bustina di chellophane ed archiviata in un umido sotterraneo della Sapienza, dove, pian piano, marcisce.L'allegria di Odeta, quindi, divenne a mano a mano un'etichetta, dietro la quale si celavano gli intenti di quella schiatta di atei senza dio che ben presto avrebbero provocato il collasso della terra lungo le geodetiche di un buco nero. Ma questa è un'altra storia.
Odeta ricordava com'era stata prima dell'infausta scelta: gioiosa e solare, mentre schiacciata dagli ingranaggi da lei stessa attivati era costretta a fredde misure di superconduttività a 500 K. Ricordava sopratutto com'era confidare in qualcosa di superiore, di più grande e profondo, sì, Odeta ricordava cosa volesse dire avere fede, ma non poteva più provarla, avendo rinunciato alla propria anima, unico appiglio degli esseri umani all'immensità del divino.
Questi ricordi le pesavano, perciò, stretta tra le mura del laboratorio di spettroscopia infrarossa iniziò a covare rancore, rancore verso Dio, verso tutto ciò che non si può misurare nè imprigionare in un foglio denso di calcoli.
L'astio ed il rancore ribollirono in lei, fino a che, una notte evaporarono del tutto, la temperatura schizzò alle stelle ed Odeta esplose. Gonfia di rabbia, aggredì un bolometro, ma non le diede soddisfazione, fu così che rivolse tutta la sua ira al mondo delle fiabe, lacerò il velo di Maia e si diresse verso le verdi vallate della fantasia, in cerca di quel dio in cui risiedeva il principio primo della sua furia. Ruggì in lungo e in largo, ma non lo trovò.
Resasi conto che Dio non esiste neanche nel regno della fantasia, iniziò a fracassare tutto ciò che la circondava, il mondo delle fiabe andò in pezzi, milioni di bambini in tutta la terra scoppiarono in un pianto dirotto, invano. Odeta si arrampicò in cielo e scaraventò via la luna, fino al fondo di un pozzo, questo provocò numerosi tsunami e lo scioglimento delle calotte polari, ma non riuscì a calmare la sciagurata ragazza.
Sarebbe andata avanti ancora per molto, se qualcosa non avesse attratto la sua attenzione: qualcuno svolazzava in cielo. La curiosità spinse la nostra strutturista sperimetale a seguire quella figura sgusciante, su fino alla seconda stella a destra, e poi dritto fino al mattino.La strada fu lunga e l'attesa la snervò, così, giunta su un asteroide vagante che somigliava tanto ad un'isola, si erse, fradicia dell'umidità del mattino e fulminò con lo sguardo tutto ciò che la circondava. Odiava quel posto, odiava le palme, la spiaggia, i monti, ma sopratutto odiava quelle cazzo di sgallettate che non facevano altro che intonare ottusi motivetti pop, sventolando le loro argentee code di pesce dalle cime degli scogli.
In quel preciso momento (quello sbagliato), si trovò a passare di là (il posto sbagliato) un bambino (sbagliato anche lui). Il bimbo era uno dei seguaci di Peter, era un allegro monello paffuto munito di lentiggini e capelli rossi. Odeta l'agguantò per la collottola e lo apostrofò in malo modo: -Hey tu, patetico scherzo della natura, dove cazzo siamo?-.
-Sull'isola che non c'è- rispose il bambino terrorizzato......