lunedì 21 marzo 2011

ANT

Il caldo, afoso come sempre, la salita, quel peso troppo grosso sulla schiena e quel che cazzo fosse a tenerla viva sopra di lei.

Era stanca. Stremata.

Barcollava e ogni nuovo passo era compiuto a stento. Ma erano passi che doveva muovere, fottuta vita ingrata.

Aveva davvero un motivo per continuare a marciare inarrestabile tra mille mostri e costruire la stessa prigione che la incatenasse?

Sentì di avere milioni di motivi, ma allo stesso tempo non riusciva ad immaginarne neanche uno.

Era un piccolo ingranaggio di una ruota immensa, che ci si volesse fermare alla sua colonia o guardare al mondo intero nella sua crudezza, nel suo afoso caldo millenario. Eppure la sua colonia aveva bisogno di lei e per il mondo era lo stesso, ma nessuno glielo avrebbe mai confessato, nessun ringraziamento era in serbo per la sua opera.

Non credeva di averne bisogno.

Procacciava nutrimento per la sua gente, per i suoi simili, per le regine. Temeva di essere l’ennesimo servo di un sistema malato, era quasi certa di essere schiava di un istinto di sopravvivenza che non poteva avere altra ragione che la demenza.

Una folata di vento la costrinse a fermarsi, insieme ai suoi pensieri, perchè era il momento di sopravvivere, di nuovo, per quella che sarebbe stata solo un’altra volta, di certo non l’ultima.

Non era lontana dalla colonia ma poteva essere libera con solo qualche passo in più.

Avrebbe marciato senza imposizioni verso una meta che non sarebbe mai esistita, lontana da qualsiasi dolore e da ogni forma di dispotismo.

Era così fastidioso accorgersi del fatto che la sua gente vivesse senza coscienza, guidata dall’ingranaggio piuttosto che come forza trainante che le permettesse di muoverlo, indifferente di fronte ai fratelli, perchè tutto quanto era meccanico, dovuto, necessario: perchè le cose andavano così da sempre e probabilmente era quello l’unico modo in cui potessero andare.

Era in bilico su una roccia, il vento caldo, la presenza inquietante di un essere gigantesco sopra di lei, il pensiero soffocante di un impero che la manovrasse.

Aveva affrontato la pioggia assassina, castigo di una vita ti mette in ginocchio, e aveva ucciso per la colonia orde di nemici che le somigliavano tanto quanto erano diverse da lei e dai suoi, era sfuggita a giganti crudeli quanto l’amore.

Il vento cessò perchè lei potesse prendere la sua via.

Lontano da una vita di sacrificio, di condivisione esasperata, di amore incondizionato verso coloro i quali nemmeno sanno cosa significhi l’amore. Ecco cosa era.

Raccolse la mollica.

Non c’entrava un cazzo il sistema. Era tutto il resto a tenerla in piedi.

Pochi passi la separavano dal formicaio, il suo formicaio e la sua gente.


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