lunedì 21 marzo 2011

IL CASTELLO

Fuori dal castello un gatto grigio passeggiava altezzoso in una splendida ed afosa giornata estiva. Il sole splendeva tra le piante rampicanti e le macerie dei muri e scaldava il mondo di un calore atavico, che il felino amava godersi nella sua principesca solitudine.

E il castello era soltanto un’alta torre che spuntava dal terreno e nascondeva allo sguardo la linea dell’orizzonte. Quello che rimaneva del castello non era affatto un corpo estraneo rispetto alla pianura su cui si ergeva, ma non poteva essere altro che un possibile riparo per il prossimo inverno agli occhi del gatto, qualcosa a cui non bisognava ancora dare troppa importanza.

In lontananza, i rumori intermittenti che provenivano da un nuovo villaggio erano certamente più interessanti e pericolosi, ad un tempo portatori di sventure e menestrelli di avventure.


Quello in cui ricorreva la morte della moglie non era di certo un giorno che l’unico abitante del castello riuscisse a vivere con totale serenità, nonostante fossero passati molti anni. L’irruzione della notte prima, con tutto ciò che era conseguito non lo aveva aiutato affatto a rilassarsi.

Era mai possibile che dopo anni di resistenza ancora non si fossero arresi a lasciargli quello che di diritto era suo?

Quello che chiedeva dopo tanta lotta era soltanto di essere lasciato in pace, senza dover temere per tutto quello che gli appartenesse, compresa la sua stessa esistenza. D’altraparte doveva mostrare uno sguardo cattivissimo ad un cattivo gioco che si protraeva da troppo tempo.

Si stava spostando dalla terrazza della torre, dove era andato per controllare che all’orizzonte tutto fosse tranquillo, fino al piano sotterraneo, per controllare il prigioniero, e mentre scendeva le interminabili scale che aveva salito e sceso da solo per anni i suoi pensieri non si limitavano alle parole che avrebbe rivolto al bastardo che lo attendeva legato, ma piuttosto già pensava al modo più adatto per fargliela pagare, perchè la vendetta era l’unica cosa che gli fosse rimasta per sentirsi ancora degno di essere un uomo.

Lo affrontò con calma olimpica, la rabbia repressa in un angolo del proprio essere, pronta per essere fatta esplodere al momento adatto

Cominciò a fargli domande assurde, a cui non avrebbe mai potuto rispondere, se mai glielo avesse permesso: Conosceva i trucchi infami dei suoi nemici, sapeva di cosa fossero capaci. Lo sapeva da quando era un ragazzino, da quando le cose avevano cominciato a degenerare, e lo vedeva anche in televisione che le persone stavano impazzendo: e lentamente stava accadendo che non fosse più una questione di negri, arabi, cinesi, perchè i pericoli e gli imbarazzi sembravano circondarlo con tutti quei nani, gli storpi, i comunisti, e le ingiustizie e le malattie erano ovunque presenti insieme ai dittatori, ai terroristi, ai drogati.

Mentre ricordava prese a calci il prigioniero per sfogarsi delle proprie frustrazioni, della propria solitudine, o soltanto perchè era in grado di poterlo fare.

Poi col tempo era pervenuta la consapevolezza che avrebbe potuto fidarsi soltanto di se stesso, e naturalmente della donna di cui era innamorato e che non lo avrebbe mai tradito.

E quella consapevolezza si trasformò in sicurezza quando le cose degenerarono, quando scoppiò la guerra che ogni giornale sembrava aver previsto mostrando per tempo ogni pericolo e ogni alieno a una società ideale. Perchè il mondo era degenerato in un miscuglio di ingredienti che portarono al disgregamento della società.

Non era uno stupido, aveva letto molti libri sull’argomento.

E decise di rinchiudersi nella sua fortezza quando si accorse delle differenze che lo allontanavano dai suoi vicini invidiosi, e dai suoi parenti opportunisti, e da tutti quelli che avrebbero voluto cambiare o infettare il suo modo di essere.

Mentre il prigioniero, lo sguardo fisso sulla pistola, si arrendeva al suo breve destino, il signore del castello beveva da una bottiglia di vetro un sorso di acqua pura e freschissima.

E ora che la guerra era finita, e che la sua terra era stata violentata e il mondo si era ripulito di molta feccia, lui si era accorto che qualcosa stava cambiando ancora: e poco lontano dal suo castello, mentre lui si dissetava pensando a come eliminare un piccolo male, stava crescendo una comunità, di cui non si era fidato dall’inizio, e che gli destava sospetti e ingenuo ribrezzo per la capacità mostrata dall’uomo di continuare a commettere gli stessi errori.

E per un attimo era stato così ingenuo da lasciare che quel ragazzo dal viso angelico e dai buoni propositi entrasse in casa sua, nella sua terra, nel suo regno esclusivo.

Ma anche se all’inizio gli era sembrato gentile e davvero disponibile nella sua proposta di farlo aggregare alla comunità, dopo pochi minuti e poche chiacchiere era finalmente uscito il lato oscuro e ingannatore di tutta la faccenda, volevano soltanto il suo castello. Aveva iniziato a fare discorsi strani sul villaggio e sul condividere, o sull’aiutarsi vicendevolmente.

E lui la storia la conosceva già.

E allora capì che tutta quella gente non c’entrava niente con lui, perchè volevano solo sfruttarlo, e perchè altrimenti sarebbe dovuto riavvicinarsi a tutto quello che in tanto tempo aveva osservato, schifato, allontanato e combattuto.

Venivano da fuori il castello, dunque non potevano essere come lui, e nessuno gli era amico, perchè li odiava tutti ed era odiato da tutti.

E certo avrebbe potuto ucciderlo, e lo guardò negli occhi e gli mostrò la sua rabbia e il suo odio, infondato se non per diffidenza ed ignoranza, per lontananza prima che per differenza.

Il distacco, l’emarginazione di chi non fosse come solo lui era, erano le sue uniche armi di difesa, e lo erano state sin dal primo momento in cui gli furono aperti gli occhi.

Perchè i segnali erano sempre stati davanti agli occhi di tutti, percepiti da alcuni illuminati, ignorati da troppi benpensanti.

Decise di non ucciderlo e di lasciarlo vivere come monito per i suoi soci, perchè capissero che avrebbero fatto bene a stare per i fatti propri.

Nonostante la paura, la disillusione, la frustrazione del vedere un male che non può essere estirpato, lui non aveva ceduto alla tentazione di uccidere, perchè non era un animale, e non era mai stato un uomo cattivo, solo voleva essere libero di non vivere nella fobia. Era un suo diritto inalienabile. Sapeva di cosa parlava.

Lo slegò e lo picchiò selvaggiamente prima di abbandonarlo in quella che una volta fu solo la cantina di una vecchia casa e che adesso era diventata la prigione delle segrete.

Il signore del castello blindò il portone della torre e si guardò intorno, come se avesse paura di essere osservato o di essere circondato. Come se il nemico ce lo avesse dentro.


E fuori dal castello, controllati a distanza dagli occhi poco interessati di un gatto grigio, degli uomini si erano riuniti per parlare del mostro che abitava quella torre ai confini della pianura. E si chiedevano che fine terribile avesse fatto il loro compagno, tra le mani feroci di un essere disumano, lontano da ogni tipo di controllo e da ogni tipo di regola.

Stavano costruendo una comunità, stava nascendo una società: avevano bisogno di tranquillità e sicurezza, non di instabilità e paure.

Avevano bisogno di un nemico?

Erano solo diversi, e dovevano tenersi lontano dall’uomo del castello, per difesa e per odio, perchè un animale del genere, anarchico e misterioso non poteva che minare la società dalle fondamenta.

Dormicchiando sotto il sole caldo del primo pomeriggio, uno splendido gatto grigio osservava annoiato il vorticoso ripetersi degli uomini, vero grande cancro della terra, escludendo cani, topi e lucertole, chiaramente.


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